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Cetraro, il caso Mattia Spanò, libero ma ancora detenuto: il dramma che scuote la Calabria

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  • 2 giorni fa
  • Tempo di lettura: 3 min

Tra giustizia e sanità, la storia di un giovane di Cetraro intrappolato nel sistema, il caso Mattia Spanò, libero ma ancora detenuto, potrebbe arrivare alla corte di giustizia europea


Carcere di Arghillà, il caso Spanò fa discutere
Foto d'archivio


Mattia Spanò di Cetraro è libero ma ancora detenuto: un paradosso che racconta, meglio di ogni analisi, le falle di un sistema penitenziario e sanitario incapace di garantire diritti essenziali. Il 32enne di Cetraro, affetto da gravi disturbi psichiatrici, ha scontato interamente la sua pena conclusa già il 15 agosto, ma continua a vivere dietro le sbarre del carcere di Arghillà, a Reggio Calabria.

Secondo quanto riferito dal suo legale storico, avvocato Marco Bianco, e dalla nuova difensora avvocata Angela Cannizzaro, la situazione di Mattia è diventata ormai insostenibile. Cannizzaro ha presentato una nuova istanza al magistrato di sorveglianza per ottenere la sostituzione della misura di sicurezza con la libertà vigilata in una struttura sanitaria alternativa, e ha annunciato l’intenzione di ricorrere alla Corte europea dei diritti umani.





“Libero” solo sulla carta: la Calabria senza posti nelle Rems

Il caso di Mattia Spanò è l’emblema di una crisi più ampia. In Calabria, le Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza) sono appena due e da mesi risultano sature. Nessuna disponibilità, dunque, per accogliere pazienti psichiatrici autori di reato, anche dopo la fine della pena.

Nel giugno scorso, il Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro aveva riconosciuto per Mattia “la necessità di un trattamento terapeutico in ambiente protetto”. Ma la mancanza di strutture ha congelato la decisione, lasciandolo “libero” solo sulla carta.


Un cortocircuito tra giustizia e burocrazia

Negli ultimi mesi, la vicenda ha assunto i contorni di un vero cortocircuito istituzionale. I Tribunali di Reggio Calabria e Catanzaro si sono dichiarati incompetenti: per il primo, Mattia non è più un detenuto; per il secondo, non è ancora un paziente sanitario. Un limbo giuridico che lo costringe a restare in carcere “senza titolo di detenzione”.

A denunciare la situazione sono i genitori e il fratello del giovane, ormai esasperati. «Vuole farla finita – aveva confidato il padre – Mattia non ce la fa più». La famiglia ha coinvolto avvocati, garanti dei detenuti, medici e psicologi, nel tentativo di ottenere una soluzione.



Il dramma umano e l’intervento del Garante regionale

Il Garante regionale per i diritti delle persone private della libertà personale, avvocato Giuseppe Aloisio, ha visitato Mattia nel carcere di Arghillà e promesso di farsi portavoce del caso. «Occorre una soluzione che restituisca dignità e sicurezza a un ragazzo che non dovrebbe più essere in cella», ha dichiarato.

Nel frattempo, lo stato mentale di Mattia è peggiorato. Ha tentato più volte di togliersi la vita, anche ingerendo candeggina. Solo l’intervento di un compagno di cella ha evitato il peggio.


Una storia che racconta un fallimento collettivo

La vicenda di Mattia Spanò inizia nel 2019, quando un episodio di crisi psichiatrica lo porta ad aggredire la madre. Da allora, una spirale di ricoveri, arresti e spostamenti tra vari penitenziari ha segnato la sua vita.

Il suo non è un caso isolato. In Calabria, meno di 25 posti Rems coprono l’intera regione, mentre decine di persone con patologie psichiatriche restano dietro le sbarre. I carceri diventano così ospedali di fortuna, e il diritto alla salute viene sacrificato alla burocrazia.


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