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“Plinius 2”: per la Cassazione inammissibili dieci ricorsi

Dieci ricorsi di altrettanti imputati nel processo Plinius 2 sono stati dichiarati inammissibili dalla Corte di Cassazione

SCALEA – 6 mag. 21 - L'operazione Plinius 2 torna nelle aule della Corte di Cassazione con una serie di dieci ricorsi contro la sentenza della corte d'Appello di Catanzaro dello scorso 22 febbraio 2019. La Corte ha dichiarato inammissibili i ricorsi e ha condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. I ricorsi erano stati proposti da Mario Stummo, 65 anni di Scalea; Alvaro Sollazzo, 57 anni di Scalea; Cantigno Servidio, 54 anni di Scalea; Rodolfo Pancaro, 47 anni di Scalea; Umberto Pietrolungo 55 anni di Cetraro; Francesco Saverio La Greca 46 anni di Santa Domenica Talao; Angela Faraco, 57 anni di Vaccarizzo Albanese; Luigi De Luca, 49 anni di Scalea; Francesco De Luca, 44 anni di Scalea; Maria Francesca Bloise, 47 anni di Scalea. Il provvedimento impugnato riguardava la decisione della Corte d'Appello di Catanzaro, sugli appelli relativi alla sentenza originaria del Tribunale di Paola del 20 ottobre 2017.



I giudici di merito hanno esaminato i fatti oggetto del giudizio, convenzionalmente denominato “Plinius 2”, indicato come il prosieguo dell'operazione investigativa “Plinius 1”, che, si legge nella articolata sentenza: “aveva riconosciuto l'esistenza in Scalea del clan di 'ndrangheta, denominato Stummo-Valente, collegato alla cosca Muto di Cetraro, della quale costituiva una derivazione. Detto clan era composto da due fazioni: una facente capo a Mario Stummo; l'altra a Pietro Valente; il clan era stato riconosciuto operante nel territorio del Comune di Scalea e nei comuni vicini, in un periodo temporale antecedente quello oggetto della contestazione e, comunque, fino al settembre 2013”. La Corte di Cassazione nell'esaminare i ricorsi ha, fra l'altro, tenuto conto delle sentenze passate in giudicato che hanno ormai cristallizzato una serie di eventi non più contestabili. Nella ricostruzione, la Corte di Cassazione, ricorda che alla situazione “di pace apparente tra le fazioni Stummo e Valente, si contrapponeva un permanente latente contrasto, finalizzato ad ottenere la supremazia sul territorio; tra la fine del 2012 e gli inizi del 2013, i due gruppi, pur sostanzialmente unitari e operanti in un medesimo contesto spaziotemporale, erano entrati in forte dissidio; nel corso di una conversazione, Pietro Valente, tornato in libertà dopo un periodo di carcerazione, rendeva edotto l'Avv. Mario Nocito, di essere in attesa, in occasione della imminente scarcerazione di Luigi Muto, di risposte dal “locale di Cetraro” al fine di risolvere in via definitiva la situazione di contrasto con la fazione Stummo, manifestando il proposito di riprendersi, con il benestare di Muto, il controllo del territorio di Scalea, contando sul privilegio di chi li aveva serviti per vent'anni”.



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