Estorsione sul Tirreno, gli atti tornano a Catanzaro per l'indagato di Grisolia
- miocomune.tv

- 5 ott
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Estorsione sul Tirreno, la Suprema Corte rimanda gli atti al Tribunale del Riesame di Catanzaro per l'indagato di Grisolia difeso dall'avvocato Antonio Crusco. Restano confermate le accuse per gli altri quattro coinvolti nel procedimento antimafia
5 ottobre 2025
Estorsione sul Tirreno cosentino, la Suprema Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Giovanni Marino, 42 anni, originario di Grisolia, coinvolto nell’indagine che nei mesi scorsi ha colpito il locale di ’ndrangheta di Cetraro, collegato alla cosca Muto e alla ’ndrina Valente di Scalea.
Marino, difeso dall’avvocato penalista Antonio Crusco, ottiene così un primo risultato positivo: la Corte ha disposto il rinvio degli atti al Tribunale del Riesame di Catanzaro per un nuovo giudizio. Restano invece confermate le misure per gli altri quattro indagati, per i quali la Cassazione ha rigettato i ricorsi.
Le accuse e il blitz del 14 marzo
Era la notte del 14 marzo scorso quando scattò il blitz congiunto del Servizio Centrale Operativo (Sco) di Catanzaro, della Squadra Mobile di Cosenza e della Compagnia dei Carabinieri di Scalea, con il supporto del Reparto Prevenzione Crimine Calabria Settentrionale e di un’unità cinofila.
Le misure cautelari erano state richieste dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro e firmate dal Gip distrettuale.L’accusa contestava agli indagati di aver imposto a un imprenditore del Tirreno cosentino il pagamento di somme pari al 3% del valore degli appalti pubblici, presentate come “forme di protezione”. Parte dei proventi, secondo gli inquirenti, sarebbe stata destinata al sostegno economico dei detenuti affiliati.
Il contesto: cosca Muto e potere sul territorio
Le indagini, coordinate dalla Dda, avevano ricostruito una rete di pressioni e minacce ai danni di imprenditori, con l’obiettivo di riaffermare la capacità intimidatoria del gruppo criminale.
Tra gli episodi contestati, un incontro presso un cantiere di San Nicola Arcella e la richiesta diretta di consegna di denaro.Secondo gli atti, gli indagati avrebbero intimato al titolare di una ditta di impianti di pagare circa 30 mila euro, corrispondenti al 3% del valore di un appalto pubblico a Cirella di Diamante. Le somme venivano descritte come “contributi per stare tranquilli”, non come “pizzo”, ma di fatto configuravano un’estorsione aggravata dal metodo mafioso.
Precedenti giudiziari e il processo “Frontiera”
Le contestazioni si inseriscono nel solco di una lunga storia giudiziaria: la cosca Muto di Cetraro è già stata riconosciuta in diverse sentenze definitive come un’organizzazione mafiosa radicata nell’Alto Tirreno cosentino.
Con il processo “Frontiera”, la Cassazione aveva già confermato la pericolosità del gruppo e la sua influenza su settori economici strategici, dagli appalti pubblici al commercio ittico.
Tutti gli indagati del nuovo procedimento avevano presentato ricorso in Cassazione dopo la convalida delle misure cautelari. Solo per Giovanni Marino, assistito dall'avvocato penalista Antonio Crusco, la Suprema Corte ha deciso l’annullamento dell’ordinanza e il rinvio per un nuovo giudizio, aprendo così un nuovo capitolo giudiziario nel complesso mosaico delle inchieste contro la criminalità organizzata tirrenica.
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