Cosenza, via al processo per far luce sulla morte di Santo Nigro. Parla il figlio Giuseppe
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Cosenza, via al processo per far luce sulla morte di Santo Nigro. Parla il figlio Giuseppe

Aggiornamento: 5 dic 2020

Omicidio avvenuto 39 anni fa a Cosenza. Il figlio Giuseppe Nigro, assistito dall'avvocato Alessandro Gaeta, si è costituito Parte civile e spiega i motivi della sua decisione

COSENZA – 3 dic. 20 – Dopo 39 anni si vuole far luce sul delitto di Santo Nigro avvenuto a Cosenza il 18 novembre del 1981. Ieri si è svolta l'udienza camerale, Gup Sacco del tribunale di Catanzaro. Per l'omicidio di Santo Nigro sono imputati Mario Pranno, difeso dagli avvocati Marcello Manna e Gianluca Garritano; Francesco Saverio Vitelli, assistito dall’Avv. Antonio Manno; Aldo Acri, difeso dall’Avv. Fabio Di Santo; Francesco Cicero, assistito dall’Avv. Riccardo Maria Panno. Parte civile: si è costituito Giuseppe Nigro, difeso dall'avocato Alessandro Gaeta.

PERCHE' NIGRO SI E' COSTITUITO PARTE CIVILE

Giuseppe Nigro, tramite l'avvocato Alessandro Gaeta ha spiegato le motivazioni che l'hanno indotto a costituirsi quale parte civile nel processo: “La ragione sta nel fatto che è convinto che finalmente potrà essere accertata con sentenza la verità sul movente dell’omicidio del padre. Infatti, egli non ha mai creduto a quanto si diceva sino a qualche tempo fa, e cioè che il padre, Nigro Santo, si era ritagliato un suo ruolo in una locale di mafia cittadina ed era stato ucciso perché aveva commesso uno sgarro”.

I CAPI DI IMPUTAZIONE

Gli imputati, a vario titolo, devono rispondere di omicidio, in concorso, con le aggravanti del caso, e di associazione di tipo mafioso. “…In esecuzione di un medesimo disegno criminoso, in concorso morale e materiale tra loro, nonché con Carmine Luce (deceduto), Pasquale Pranno e Antonio Musacco, (per i quali si procede separatamente), deliberavano e cagionavano la morte di Santo Nigro. In particolare, Mario Pranno, (Pasquale Pranno) e Francesco Saverio Vitelli, per via del rifiuto opposto alla richiesta di pagare l’estorsione all’associazione mafiosa denominata Perna-Pranno (associazione ‘ndranghetistica riconosciuta con sentenza della Corte di Assise di Cosenza del 09 giugno 1997, irrevocabile dal 03 luglio 2000) nonché per dare l’ “esempio” a tutti gli altri commercianti ed imprenditori, dunque in modo che il gesto servisse da “monito” per tutte le altre vittime, decretavano l’omicidio di Santo Nigro; Aldo Acri – si legge - esplodeva colpi di pistola cal. 38 nei confronti del Nigro, ferendolo mortalmente all’interno del negozio in allestimento di sua proprietà, sito in via Popilia 144 a Cosenza; Carmine Luce dava copertura all’Acri al momento dell’agguato, esplodendo colpi di pistola cal. 7,65 nei confronti del figlio Silvio Nigro, ferendolo ad una gamba; Francesco Cicero dava copertura ai due killer, restando all’esterno del negozio; Mario Pranno e Francesco Saverio Vitelli, attendevano i killer nei pressi della sede della vecchia Questura di Cosenza provvedendo al loro recupero. Con le aggravanti di aver commesso il fatto in numero di più di cinque persone, della premeditazione, dei motivi abietti, consistiti nel dare l’esempio alle vittime. Con l’aggravante – quantomeno ai fini processuali – di aver commesso il fatto avvalendosi del metodo mafioso ed al fine di favorire l’associazione mafiosa denominata Perna Pranno”.

LE CONVINZIONI DI GIUSEPPE NIGRO

Spiega l'avvocato Alessandro Gaeta, difensore di fiducia di Giuseppe Nigro: “La sua convinzione è sempre stata quella, per come recita lo stesso capo di imputazione, che il padre aveva solo opposto un fermo rifiuto “alla richiesta di pagare l’estorsione all’associazione mafiosa denominata Perna Pranno”.

In seguito al fatto di sangue, Giuseppe Nigro, poco più che ventenne, è stato costretto ad un immediato e radicale cambio di vita che lo ha allontanato da Cosenza, luogo in cui era cresciuto e vi aveva abitato sino a quel momento, per trasferirsi con madre, sorella e fratello a Belvedere Marittimo, luogo in cui il padre era proprietario di un fabbricato”.

IL FALSO MOVENTE

“La voce del falso movente – spiega ancora il difensore - ha contribuito a rallentare fortemente il processo di integrazione del giovane nel nuovo tessuto sociale. Infatti, a causa di tale “voce”, da allora è stato visto come soggetto intraneo alla ‘ndrangheta (in particolare alla cosiddetta cosca Muto di Cetraro) e, per tale motivo, è stato coinvolto in processi penali istruiti dalla Ddda di Catanzaro per fatti di asserita matrice mafiosa dai quali, tuttavia, è sempre stato assolto.

A tanto si aggiunga che il Nigro, in seguito al fatto di sangue, non solo ha perso il padre ma, per come potrà essere dimostrato nel corso del processo, dopo alcuni anni, ha perso anche il fratello Silvio. Infatti, per come risulta in atti, altra vittima del commando ‘ndranghetista è stato il fratello Silvio Nigro, il quale, oltre a vedere il padre morire sotto i propri occhi, nelle medesime circostanze di tempo e di luogo, è stato attinto da colpi di arma da fuoco. Tali eventi hanno ingenerato in lui il convincimento che i killer avessero avuto incarico di ucciderlo e che solo per un caso fortuito non vi erano riusciti. La conseguenza del duplice trauma subito lo ha sottoposto ad un vero e proprio cataclisma a livello di sistema psichico e, da allora, Giuseppe Nigro si è dovuto far carico del fratello fin quando, all’età di 25 anni, cioè sei anni dopo l’omicidio del padre, è deceduto in Roma, presso la casa di cura per igiene mentale Villa Armonia”.

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