Scalea, pena rideterminata per Alvaro Sollazzo in 9 anni e 6 mesi
La Corte d'Appello di Catanzaro ha accolto le richieste degli avvocati, Giuseppe Bruno e Ugo Vetere, difensori di Alvaro Sollazzo 57 anni di Scalea
SCALEA – 30 nov. 21 - Dovrà scontare in tutto 9 anni e 6 mesi di reclusione. La pena inflitta ad Alvaro Sollazzo, 57 anni, di Scalea, è stat rideterminata dalla corte d'Appello di Catanzaro. La corte ha accolto le richieste degli avvocati di fiducia, Giuseppe Bruno e Ugo Vetere ed ha dichiarato unificati dal vincolo della continuazione i reati di due sentenze pronunciate nei confronti di Alvaro Sollazzo. La sentenza del 7 luglio 2017 della Corte di Appello di Catanzaro, divenuta irrevocabile il 3 settembre 2018; e la sentenza del 22 febbraio 2019 della Corte di Appello di Catanzaro, divenuta irrevocabile il 2 marzo di quest'anno. L'imputato, per la prima sentenza, è stato condannato alla pena di 7 anni e 6 mesi di reclusione per il delitto di cui all’art. 416 bis, associazione di tipo mafioso, commesso fino all’l1 settembre 2013 a Scalea, e per turbata libertà degli incanti, commesso nel gennaio 2012.
La seconda sentenza, anch'essa irrevocabile, era riferita ad una condanna alla pena di 7 anni e 6 mesi di reclusione sempre per associazione di tipo mafioso, per fatti commessi tra il 2012 e il 2015 e per estorsione, commessa a Scalea il 24 giugno del 2012. Alla corte è stato chiesto di applicare il cosiddetto “criterio cronologico inverso” previsto dalla norma del codice di procedura penale, secondo il quale: “quando i provvedimenti da eseguire siano stati emessi da giudici diversi, è in ogni caso competente per l’esecuzione il giudice che ha emesso il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo, ancorché estraneo all’oggetto dell’istanza. Nel caso specifico, Sollazzo è stato condannato quale partecipe alla cosca Valente - Stummo e quale concorrente nel reato di turbata libertà degli incanti, avvinti tra loro in continuazione; con la seconda sentenza è stato condannato per la prosecuzione della condotta di partecipazione alla stessa associazione mafiosa di cui alla prima e per la tentata estorsione aggravata, reati tra loro unificati in continuazione. Secondo la Corte “non si è registrata soluzione di continuità tra la partecipazione all’associazione sin dal 2010 e la prosecuzione della stessa anche nel periodo di detenzione successivo all'arresto del luglio 2013, a cui si riferisce la seconda condanna; ai fini della configurabilità del vincolo della continuazione tra reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, non è sufficiente il riferimento alla tipologia del reato ed all’omogeneità delle condotte, ma occorre una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo, al fine di accertare l'unicità del momento deliberativo e la sua successiva attuazione attraverso la progressiva appartenenza del soggetto ad una pluralità di organizzazioni, comunque denominate, ovvero ad una medesima organizzazione”. In questo caso, quindi la Corte, accogliendo la tesi degli avvocati Giuseppe Bruno e Ugo Vetere, ha ritenuto che “deve riconoscersi il vincolo della continuazione tra i due reati associativi essendo relativi alla medesima organizzazione criminale (pur nel mutamento nel tempo della compagine associativa) e del medesimo ambito territoriale di operatività, oltre che della medesima fazione (quella Stummo) all'interno della consorteria, in assenza di prova di adesione ad un nuovo "pactum sceleris" o di segni di discontinuità nel programma criminoso”. Pertanto, la Corte ha ritenuto opportuno rideterminare la pena a 9 anni e 6 mesi di reclusione.