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Scalea, omicidio colposo, violazione norme sulla prevenzione: la Cassazione conferma la condanna

Ricorso di un imprenditore inammissibile per la Cassazione che conferma le sentenze di I e II grado



SCALEA – 10 nov. 22 - Ricorso inammissibile e condanna al pagamento delle spese processuali. E' quanto deciso dalla quarta sezione penale della Corte di Cassazione per un imprenditore di Scalea, di 51 anni, condannato dal Tribunale di Paola per il reato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro in cooperazione con altro imprenditore, per il quale è intervenuta pronuncia assolutoria. Il ricorso, contro la sentenza del 18 gennaio 2021 della Corte d'Appello di Catanzaro. Quest'ultima, ha confermato la pronuncia di condanna emessa dal Tribunale di Paola a carico del 51enne per il reato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro. L'imputato, amministratore della società di costruzioni, nella qualità di datore di lavoro dell'operaio A.B., “per colpa generica, nonché inosservanza delle norme poste a tutela degli infortuni sul lavoro”, è stato ritenuto responsabile di aver cagionato la morte dell'operaio.



La vittima, si legge, “incaricato di effettuare una saldatura in quota presso la sede della società, essendo sprovvisto di ogni dispositivo di protezione e mediante utilizzo di una scala a pioli, nel compiere l'operazione richiesta, issatosi sulla scala, perdeva l'equilibrio e cadeva al suolo riportando lesioni gravissime che ne determinavano il decesso”. I giudici di merito, nelle due sentenza conformi, hanno ritenuto acclarata la responsabilità dell'imputato, ponendo in rilievo come il datore di lavoro avesse messo a disposizione dell'operaio strumentazione di lavoro assolutamente inidonea e priva dei requisiti. “II giudice, lamenta la difesa, ha erroneamente ritenuto utilizzabili le dichiarazioni rese dall'imprenditore di Scalea alla polizia giudiziaria nel corso delle indagini, dichiarazioni che hanno fatto ingresso nel giudizio attraverso la deposizione di due testi”. La Corte di merito sostiene che il teste di polizia giudiziaria si sia limitato a riferire quanto aveva appreso nel corso di una telefonata con l'imprenditore, in cui questi chiedeva l'intervento dei carabinieri per il grave incidente occorso.



“La Corte di merito – si legge - sarebbe incorsa in un travisamento della prova: l'imprenditore non ha mai chiesto l'intervento dei carabinieri e la conversazione non aveva ad oggetto la dinamica del sinistro. Il teste di polizia, all'udienza del 16 ottobre 2014, ha dichiarato che le notizie apprese erano quelle ricevute dall'imprenditore, non avendo svolto altri accertamenti ("non abbiamo trovato altre cose"). Ha poi precisato di avere chiamato al telefono l'imprenditore per convocarlo presso il luogo del fatto, apprendendo da questi che stava seguendo l'ambulanza che trasportava l'operaio infortunato. Da quanto precede – si legge agli atti - emergerebbero evidenti contraddizioni. I giudici affermano che le dichiarazioni rese dal teste di polizia sarebbero pienamente utilizzabili, essendosi il teste limitato a riferire quanto appreso nel corso di una conversazione telefonica e non avendo deposto sul contenuto delle dichiarazioni verbalizzate: tale assunto contrasterebbe con quanto affermato in dibattimento dal teste”. Si legge ancora: “Esclusa l'utilizzabilità delle dichiarazioni dell'imprenditore, la cui posizione di legale rappresentante della società era nota agli operanti fin dalla telefonata, gli ulteriori accertamenti effettuati in corso di indagini sarebbero inidonei a sostenere l'affermazione di responsabilità a carico dell'imputato: dai rilievi effettuati non è dato conoscere la distanza della scala dal traliccio e dove si trovava il corpo della vittima rispetto al traliccio; le stesse risultanze dell'accertamento medico legale sul corpo della vittima non forniscono informazioni utili in ordine alla correlazione tra le lesioni patite dalla persona offesa e l'impatto con il suolo”.



Secondo la Cassazione: “La Corte di merito ha rappresentato, con argomentazioni sostenute da coerenti riferimenti alle risultanze in atti, che all'accertamento della causa e della dinamica dell'infortunio mortale occorso all'operaio, si è pervenuti attraverso i rilievi effettuati dalla polizia giudiziaria sul luogo dei fatti, le indagini esperite dall'ispettore del lavoro, e le risultanze degli accertamenti medico-legali. Ha quindi evidenziato come le dichiarazioni dell'imputato siano risultate del tutto ininfluenti ai fini della decisione”. Secondo la Cassazione, i vizi lamentati dalla difesa risultano del tutto destituiti di fondamento. La lettura delle due sentenze di merito conformi, il cui apparato argomentativo, per costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, si salda per formare un'unica entità logica giuridica, hanno dato conto in maniera compiuta della causa dell'infortunio mortale occorso al lavoratore, desumendo tale causa dagli accertamenti esperiti in loco dal personale di polizia e dell'ispettorato del lavoro nella immediatezza del fatto. Ciò rende prive di fondamento le censure difensiva in ordine all'asserita utilizzazione delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini dall'imputato e alla violazione del divieto di testimonianza”.



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