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Sequestro a Scalea, c'è una sentenza del Tar di gennaio. Il gestore: «Fateci lavorare»

Il ristoratore che gestisce parte della struttura finita sotto sequestro ha lanciato un appello: «Fateci lavorare, abbiamo sempre pagato tutto»



SCALEA – Il ristoratore che gestisce parte della struttura sottoposta a sequestro dalla Guardia di Finanza sul lungomare di Scalea chiede una soluzione al comune su debiti pregressi che non sono riconducibili alla sua gestione, ma alla proprietà dello stabilimento balneare.

Enzo Grisolia, ha puntualizzato sul fatto che il pagamento delle concessioni demaniali non spettava all’attività di ristorazione, ma alla proprietà. C’è ora la volontà di restare in quella struttura avendo investito risorse e capitali: «Siamo persone oneste, siamo in possesso del Durc e quindi paghiamo regolarmente le tasse. C’è un indotto attorno a noi non indifferente, lavoriamo nella struttura in dodici persone; facciamo economia locale, sponsorizziamo il territorio. Nessuno è venuto ad avvisarci. Mi rivolgo alle istituzioni, al comune di Scalea: siamo disposti a pagare direttamente agli enti il denaro dovuto. Chiediamo di lavorare, perchè altrimenti la struttura rischia di chiudere, di fare un danno alle persone che ci lavorano, all’indotto, al territorio, all’immagine stessa di Scalea. Ci teniamo al territorio e siamo persone oneste». Il problema, però, sollevato dalla guardia di finanza della tenenza di Scalea e dall’agenzia del demanio è a monte. C’è una recente sentenza del 4 gennaio 2022 del Tribunale amministrativo regionale. Sul ricorso presentato dalla proprietà della struttura in questione contro il comune di Scalea e l’agenzia del demanio.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Seconda), ha rigettato il ricorso proposto dalla proprietà ed ha anche condannato il titolare alla rifusione, in favore del Comune di Scalea, in persona del sindaco in carica, e dell’Agenzia delle Entrate, le spese e competenze di lite. Il titolare della concessione, proprietario della struttura, diverso quindi dal gestore, chiedeva nel ricorso al Tar l’annullamento del provvedimento del Comune di Scalea del 29 giugno 2020, prot. n.18903, con cui è stata comunicata al ricorrente “la decadenza delle concessioni demaniali marittime 2011 e 1999 e di tutti gli atti connessi precedenti e successivi, con effetto immediato”. Il servizio urbanistica del Comune di Scalea ha comunicato al titolare delle due concessioni demaniali marittime, l’avviodel procedimento per la pronuncia di decadenza dalle concessioni, in quanto, a seguito di controlli sollecitati dall’Agenzia del Demanio, era emerso il mancato pagamento, da parte del concessionario, delle somme dovute. Dopo un’interlocuzione procedimentale, il comune di Scalea ha dichiarato la decadenza dalle due concessioni. Nel provvedimento conclusivo del procedimento, che dà conto del contenuto della comunicazione di avvio del procedimento e degli atti ad essa anteriori, si legge che “ad oggi non sono pervenute (da parte del concessionario) note e/o osservazioni in merito”.


Nel provvedimento si riferisce, inoltre, che il concessionario avrebbe occupato indebitamente, “per effetto della difformità, parte dell’area di fascia D destinata a servizi così come disciplinato dal vigente Piano Comunale Spiaggia” e che “tale occupazione abusiva di suolo demaniale costituisce fra l’altro un sostanziale e indebito incremento della capacità reddituale alle Cdm in oggetto”.

Nella sentenza si legge: “Si è costituita l’Agenzia del Demanio. In una relazione, l’amministrazione ha riferito che con un primo atto di sottomissione del 9 dicembre 2008 il concessionario si era impegnato al pagamento dell’indennizzo per l’abusiva occupazione, dal 2001 al 2008, di suolo demaniale marittimo, la cui occupazione era stata poi regolarizzata con la concessione demaniale n. 1 del 2011; con un secondo atto di sottomissione del 28 febbraio 2013 il concessionario si era impegnato al pagamento rateale del canone demaniale marittimo per gli anni dal 2007 al 2012. Entrambi gli atti di sottomissione prevedevano la clausola risolutiva espressa per il caso di inadempimento anche di una solo rata.Ebbene, da controlli eseguiti dall’Agenzia risulterebbe l’inadempimento degli obblighi previsti negli atti di sottomissione, per un importo complessivo di oltre 60.000 euro, con la conseguenza che il credito erariale era stato iscritto a ruolo”.



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