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Scalea, "Katarion” gli indagati tenuti sono controllo già dal mese di giugno 2016

Gli spacciatori scaleoti, secondo quanto emerge dalle indagini, avrebbero fatto “con assoluta continuità ed esclusività” approvvigionamenti di quantitativi di stupefacente presso altri indagati nell'ambito della stessa operazione

SCALEA – 11 mar. 21 - Non è la prima volta che i carabinieri delle due compagnie confinanti si uniscono per contrastare lo spaccio di droga e gli uomini del clan Muto che in questa area, da tempo, trovano sodali. Come è noto, il “mercato” diventa più fiorente nei mesi estivi, soprattutto nei centri balneari, al punto che talvolta si tollerano anche alleanze con la camorra campana. Le indagini che hanno poi portato agli arresti di ieri nei paesi dell'alto Tirreno cosentino si sono focalizzate inizialmente su un episodio del mese di giugno 2016. Un fatto legato ad un episodio di un presunto tentativo di estorsione. E' stato un imprenditore locale che non ha accettato le pressioni esercitate ed ha denunciato il “metodo mafioso” utilizzato ai carabinieri. La questione è finita nelle attività investigative della Dda di catanzaro. L'indagine è stata focalizzata su Pasquale Napoli e sulla convivente, Anna Maria Sollazzo, sorella di Alvaro Sollazzo, coinvolto nell'operazione Plinius. Secondo quanto si apprende agli atti, nel corso delle attività investigative poste in essere, è emerso “il chiaro coinvolgimento di Pasquale Napoli, 57 anni, di Scalea in attività di spaccio di cocaina nelle “piazze” di Scalea e Santa Maria del Cedro.



Coadiuvato da Alfonso Scaglione, 53 anni, di Scalea, e da Giovanni Franco, 63 anni di Santa Maria del Cedro. Gli spacciatori scaleoti, secondo quanto emerge dalle indagini, avrebbero fatto “con assoluta continuità ed esclusività” approvvigionamenti di quantitativi di stupefacente presso altri indagati nell'ambito della stessa operazione. Di questi, secondo gli investigatori “hanno dimostrato di conoscere la comune appartenenza al sodalizio criminale”. Le intercettazioni rivelano come Pasquale Napoli “abbia preferito, proprio grazie alla disponibilità accordatagli dai suoi fornitori, in ragione della sua organicità al sodalizio criminale, approvvigionarsi volta per volta dello stupefacente strettamente necessario”. Un modo per evitare la detenzione di grandi quantità di cocaina. I carabinieri hanno effettuato un'ampia attività di riscontro che ha permesso di acquisire elementi indiziari tali da portare al provvedimento della custodia cautelare in carcere per Pasquale Napoli.

L'INDIVIDUAZIONE DI ALTRE PIAZZE DI SPACCIO

Un arresto ad agosto del 2016 ha permesso di avviare un'altra attività investigativa che ha messo in luce le piazze di spaccio, sempre riconducibili al clan cetrarese, nei comuni di Diamante, Buonvicino e Belvedere Marittimo. Qui, a dirigere l'attività, secondo quanto risulta agli atti, è Giuseppe Mandaliti, 39 anni, di Diamante, figlio di Antonio Mandaliti, ritenuto il “referente” della cosca Muto in quell'area geografica. Una situazione che genera un collegamento con la precedente indagine denominata “Frontiera”. A Diamante, dunque un'altra base con altri soggetti attualmente indagati che “garantivano la totale gestione dello spaccio di stupefacenti, rifornendo periodicamente altri spacciatori. Il contatto diretto era con il cetrarese Mario Cianni, ieri finito in carcere. Con Mandaliti, invece, l'interazione avveniva solo in occasione “di particolari esigenze”. Le attività investigative hanno condotto a ricostruire una rete ancora più allargata che garantiva l'approvvigionamento, secondo gli investigatori, in virtù della “organicità al sodalizio criminale”.



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